Quello del pastore è un mestiere difficile e ingrato. Un mestiere senza orari, senza inizio e senza fine.
Il pastore si alza all’alba, dopo una notte vigile nella quale ha tenuto un occhio aperto e un orecchio teso, per esser certo che in lontananza alcun agnellino emetta un belato di sofferenza, o che nessuna pecora matura lamenti un’imboscata di qualche lupo.
Anche se Leopardi scrisse che “sorge in sul primo albore / move le greggia oltre il campo, e vede / greggi, fontane ed erbe; / poi stanco si riposa in su la sera…”, in realtà non è così. Ma che ne sapeva il Leopardi di pastori? Lui sapeva scrivere, ma non conosceva il mestiere del pastore. In realtà in pochi lo conoscono, anche se in molti tendono a insegnarlo.
Il pastore è un uomo rude, ma generoso, burbero, ma protettivo verso il gregge e verso il cane fedele che lo conduce. Il pastore preferisce dormire in stalla, sopra un giaciglio di sol fieno, piuttosto che nel proprio letto, perché solo così può gestire i momenti in cui teme di più i lupi o i ladri di bestiame. Ma prima di addormentarsi, conta e riconta tutte le pecore del suo gregge, attento nell’averle fatte rientrare tutte nel ricovero, una ad una. Le ore della notte sono quelle in cui il pastore pensa alla giornata passata, tira le somme di come è andato il pascolo e pianifica la giornata a seguire, tracciando nella propria mente tutti i percorsi che traccerà col gregge nei pascoli alpini, calcola il tempo e le condizioni meteorologiche che dovrà affrontare. Il più delle volte il pastore è talmente stanco che dà un morso a un tozzo di pane e si addormenta, senza quasi finire la cena.
Quello del pastore è dunque un lavoro dal quale non si smonta mai del tutto, né di giorno e nemmeno di notte, non nella bella stagione così come nemmeno nella stagione peggiore. Il pastore non ha giorni di festa o di malattia, la loro salute non conta perché non v’è tempo e comunque vi sono sempre questioni più importanti da affrontare.
Prima di tutto, per il pastore, viene il suo gregge, poi il cane che lo conduce e in un mondo senza certezze e con mille grattacapi, il mestiere del pastore è un vero e proprio percorso ad ostacoli.
Un pastore può cambiare molti aspetti della sua vita, ma non può prescindere mai da quella necessità che ha nell’anima di essere seguito dal suo gregge, da quel privarsi della sua libertà per il bene del suo gruppo.
Ci vuole il pelo sullo stomaco per vivere un mestiere dove di certezze non ce ne sono ed è impossibile pianificare in modo certo. Ci vuole fegato affinché non ti pesino lo sporco, l’isolamento, la pecora ribelle, il cane aggressivo, il lupo affamato, il ladro scaltro, il meteo avverso, il pascolo in salita, l’altro pastore disonesto e chi più ne ha, più ne metta.
Pastori di tutto il mondo, d’estate e d’inverno, di giorno e di notte, non mollate mai.
Perché ciò che vi può dare il vostro gregge, nessuno al mondo mai ve lo donerà. Ve lo posso garantire, con umiltà, nel mio piccolo.
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