Padre e figlio si allacciarono le ali alla schiena, si arrampicarono sul davanzale e si lanciarono nell'aria. Era buio, a parte la luce di qualche stella.
«Urrah!» gridava Icaro, volteggiando nel cielo. «Sto volando! Guarda, sto volando!»
«Punta sempre a ovest» gli urlò il padre. «E ricorda di non spingerti troppo in alto. Guai se ti avvicini al Sole: potrebbe sciogliere la cera che tiene unite le tue ali e farti precipitare!». Icaro si stava talmente divertendo che non lo ascoltava neppure. Si librò fino a raggiungere le stelle.
Poi puntò verso l'Orsa Maggiore.
Non si accorse che Elios, il Sole, cominciava a guidare il suo grande cocchio fiammeggiante sull'orizzonte orientale. Elios diede un colpo di frusta e raggi infuocati sfrecciarono attraverso il cielo.
Uno di loro toccò le ali di Icaro e la cera cominciò a colare nell'oceano.
Le penne si staccarono, volteggiando lentamente intorno a lui: così l’imprudente Icaro piombò dritto nel mare, urlando al padre di salvarlo.
Il povero Dedalo lo vide affondare senza poter far nulla; poi, piangendo disperatamente il figlio perduto, riprese a volare verso la Sicilia.
E le sue lacrime, via via che cadevano nell'acqua, venivano catturate dalle Nereidi e trasformate in perle di saggezza.
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